Detto tra noi

Una riflessione e una domanda

martedì, 10 giugno 2025, 15:47

di fabrizio vincenti

La delusione, la rabbia, il senso di frustrazione che ha pervaso un po' tutti, noi compresi, per l'epilogo ancora una volta disastroso da un punto di vista societario della Lucchese, non può non portare a una riflessione approfondita. E non soltanto sulla confermata, ma attendiamo smentite, aridità assoluta del tessuto economico cittadino, capace tutt'al più di osservare, a debita distanza, con cinico distacco quanto sta succedendo, indifferente ai sentimenti di migliaia di concittadini, tutto teso a gestire il proprio business e gli affarucci di famiglia. Non è una novità, del resto. Ma partendo da questo dato del territorio, forse sarebbe il caso di interrogarsi se ha senso continuare a sperare in un principe azzurro da fuori che i tifosi attendono da decenni. Forse, semplicemente, non esiste. O almeno non è interessato a Lucca. 

E se il principe azzurro non guarda verso Lucca, allora, con molta sincerità ci chiediamo se abbia senso aprire di nuovo le porte delle Mura a una delle tante compagnie di guitti che in questi casi, come quelle dei teatranti nei secoli scorsi, si profilano promettendo elisir di lunga vita, divertimento assicurato e progetti a lunga scadenza. Naturalmente, ci mancherebbe, non trascurando il settore giovanile (da rilanciare), il nome della Lucchese (da riportare ai fasti di un tempo), lo stadio da modernizzare (perché le società serie e ambiziose lo fanno). Non vi diciamo cose nuove, queste frasi le avete sentite anche solo pochi mesi o anni fa. Il problema è che i proclami sono rimasti tali. E temiamo fortemente che eventuali soggetti interessati all'Eccellenza abbiamo tanti proclami e pochi, forse pochissimi, fatti. E' un disco rotto che si ripresenta con straordinaria puntualità in tutta Italia, al punto che molti soggetti sono sempre i soliti. Appunto come le compagnie di teatranti che girovagavano con le loro roulotte. 

Veniamo al punto: o qualcuno si assume l'onere di rilanciare la Lucchese in D, con l'acquisto del titolo del Ghiviborgo, la cui storia sembra quella della sora Camilla che tutti la vogliono ma nessuno la piglia, (e qualcuno dovrebbe pur domandarsi cosa non consenta il matrimonio con nessuno), o arriva un imprenditore INDISCUTIBILMENTE solido, oppure forse è bene resettare tutto. Reinventarsi una nuova Lucchese, perché di film già visti, di presunti imprenditori, di altrettanto presunti consorzi siamo stufi. E allora che fare, direte? Forse la soluzione sta in quei 5000 del Porta Elisa del maggio scorso: azionariato popolare. Una testa, un voto, per dare modo di creare una società dove tutti coloro che vogliono possono concretamente esserci, anche con cifre minime. Sia che si tratti di persone che di aziende, magari per importi diversi. Ma a quel punto la Lucchese, e non sarebbe solo un modo retorico di dire, sarebbe solo e soltanto di chi l'ama. Gli strumenti tecnici, per quanto la strada non sia facile, ci sono: basta guardare ad alcune esperienze come quella di Tortona. 

Qualcuno obietterà: con queste forme non si torna nel calcio professionistico e tantomeno in serie importanti. Risposta: negli ultimi venti e passa anni cosa è stato fatto per creare un percorso serio e duraturo? Dopo quattro fallimenti è scontato dire nulla. Di campi sintetici, stadi all'avanguardia, settori giovanili di livello siamo pieni. E allora forse, ci chiediamo, non è meglio ripartire dalla gente e da chi vuole davvero bene alla Lucchese? Senza quel principe azzurro, le serie importanti rischiano di rimanere solo un ricordo e per certi aspetti un incubo per l'incapacità di raggiungerle nuovamente. Ripartire da qualcosa di davvero sentito, popolare, vero potrebbe essere una soluzione. Ci sarà da mangiare zero caviale e calcare terreni imbarazzanti. Ma del resto, allo stadio si va o per i risultati o per senso di appartenenza, per l'aria che vi si respira, per le persone che vi si ritrovano. La prima strada sembra preclusa, almeno per il momento: facciamocene una ragione. Forse non resta che la seconda. Almeno segnerebbe una reale discontinuità e una reale voglia di essere protagonisti in prima persona. E, magari, tra uno dieci o cento anni anche il principe azzurro si potrebbe accorgere di una realtà che potrebbe, come capoluogo di provincia, essere all'avanguardia in un diverso modo di fare calcio. O magari no. Ma almeno Lucca e i suoi tifosi sarebbero padroni del proprio destino calcistico. 



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